Se su Google inseriamo nel motore di ricerca la parola format troviamo definizioni che ci portano in un’unica direzione:  idea centrale e struttura generale di un programma televisivo.

Anche la Treccani ce lo conferma:

Format

  1. ingl., usato in ital. al masch.

 

Nel linguaggio della televisione, l’idea base, o la formula, secondo cui è ideato un programma televisivo originale, e che può essere acquistato da stazioni televisive di altri paesi per essere trasmesso ripetuto tale e quale o dopo opportuni adattamenti.

– 

Il celeberrimo dizionario non ha tutti i torti – ci mancherebbe – ma questa definizione così scarna e limitata ci lascia un po’ l’amaro in bocca. Oltre ad essere un po’ tristina, è soprattutto anacronistica e fuorviante poiché rinchiude il format nella gabbia televisiva e lo abbandona lì, tutto solo.

Facciamo chiarezza: un format è prima di tutto un contenuto originale che potremmo anche definire camaleontico, non tanto per il cambio delle tinte, ma per la diversità delle forme – oltre a video e audio c’è di più, eh. Un format è quindi un’idea costruita su misura, prodotta in base all’obiettivo e adattata in base al canale. 

Ma… quali canali e quali forme? 

Diciamo che si può spaziare – e non intendiamo farsi una passeggiata nello spazio per mano alla Cristoforetti, al massimo un giretto nei meandri della nostra mente alla 2001: Odissea nello spazio – per poi ritrovarsi ovunque. Sì perché l’output può essere tutto: spot tv, video per i social, branded content, animazioni, serie, cortometraggi, podcast, film, interviste e, certo, anche programmi televisivi. Anche.

Ognuno di questi contenuti si basa e deve esprimere una precisa identità che va individuata, analizzata e poi sviluppata: dal mondo delle idee (parole parole parole) si passa a quello delle concretezza (i fatti). I mezzi per raccontare questa identità – la storia – possono essere tra i più disparati, l’importante è individuare gli strumenti giusti per quella specifica tipologia di contenuto e adattare la narrazione al linguaggio di quello specifico canale. Anche se, diciamocelo, oggi si viaggia nella fluidità del linguaggio e i vari canali si influenzano a vicenda.

Ok, ma come si fa?

Beh, si parte dall’analisi del brief e, una volta individuata la strada giusta – meglio conosciuta come strategia –  si parte.

Con il format ci si può inventare di tutto e, come scrivevamo qui sopra, ci si può ritrovare ovunque… perfino nel bel mezzo di una cucina di un’osteria fantasma, tra il rumore di tegamini e mestoli, restando però comodamente seduti al tavolo di casa e senza essere nel metaverso. Ebbene sì, anche la Dark Kitchen o Ghost Kitchen è un format – e nessuno lo può negar. Per chi ancora non la conoscesse, è quella formula per cui non esiste un vero e proprio ristorante, ma solo una cucina dove si producono cibi per l’asporto. Il cliente può consultare il menù tramite un’app e ordinare così i suoi piatti preferiti.

Audio, video, grafica, activation, tutto può servire in un processo di contaminazione che tiene conto solo del risultato, ovvero raccontare una storia nel miglior modo possibile partendo dal suo “perché”. Perché il format ha molteplici forme, percorre infinite strade, nasce da un’idea, si basa su una strategia più ampia, ma, cosa più importante, deve esprimere una personalità e a realizzarlo ci sono persone vere, che sanno dare forma ai contenuti. 

In estrema sintesi: finchè c’è creatività, c’è format. 

Ma anche: finché c’è format c’è speranza.