D’accordo, il marketing non sarà una scienza esatta, ma la regola non scritta dell’overpromises esiste ancora oggi. Scagli il primo commento chi ha mai visto un brand definirsi, umilmente, “il secondo migliore sul mercato” – guai se non è il primo, o al limite un leader di settore. Già, perché il lessico pubblicitario esige che le esperienze siano incredibili, le occasioni imperdibili, i prezzi unici, i cambiamenti radicali – ci sarà un motivo se la crema sciogli pancia di Wanna Marchi ha venduto come nessuno, intasando le linee telefoniche come grassi saturi con le arterie. Insomma, per vocazione la pubblicità è sempre stata un po’ eccessiva, iperbolica, carica di aspettative. E seppure negli anni sia diventata, per deontologia o normativa, un po’ meno boriosa – Uliveto resta l’acqua della salute ma con una body copy più modesta (sì, l’uccellino vola raso terra) “Aiuta la digestione” – ha trovato nuove modalità per dirla grossa, come il fichissimo ma fakeissimo FOOH.

Non esiste? Peccato.

Chi non ha visto il Big Ben indossare un enorme piumino taglia XXXXXL? La Regina, per fortuna sua, ma i restanti 67 milioni di inglesi certamente sì. Non di persona, ovvio, sugli schermi dei loro smartphone. Perché non è mai successo, anche se ci sono video che lo testimoniano.

 

Eccolo qua, il Fake Out Of Home, in tutta la sua regale falsità. Out of home, perché si tratta di campagne ambientate nel mondo “reale”, ma fake, perché nulla di ciò che vediamo è successo davvero. Un ibrido perfetto tra realtà e finzione, qualcosa che il cinema ha sempre fatto grazie agli effetti speciali, cavalcando le immense possibilità del verosimile pur restando dichiaratamente in una narrativa filmica. Qui, invece, il contenuto viene realizzato proprio con l’obiettivo di far credere – attraverso campagne digital che diventano virali – che si tratta di vere installazioni. Alla fine ti viene da chiedere se Netflix abbia davvero srotolato un preservativo gigante sull’obelisco di Buenos Aires o Maybelline dotato la metropolitana londinese di fantastiche ciglia da truccare con i suoi mascara

A(h)I che non fa male.

L’obiettivo, oggi come ieri, è stupire. Quello che cambia è lo strumento: l’utilizzo dell’AI accessibile a tutti rende la ricetta piuttosto semplice da replicare e se il cielo di Milano può diventare di colpo una mareggiata estiva (no, non è colpa del cambiamento climatico e sì, la Torre Unicredit non ha subito danni) allora un’idea può convincere milioni di teste prima ancora che diventi progetto. Certo, manca sempre una chiave fondamentale: l’esperienza diretta, ma non tutti sono Christo e possono permettersi di smuovere grossi capitali per far camminare davvero la gente sulle acque, con i Floating Piers si intende. Ecco allora che il FOOH ci viene incontro, provvidenziale, con un saving che fa gola a qualsiasi agenzia di comunicazione: sarà anche un amore bugiardo, ma lo perdoniamo.