People to people, parlare (d)a persone

Set 25, 2024

Niente di personale, ma nel 2024 la società dell’acronimo ci sta un po’ stretta. Soprattutto quando si perde l’ABC, in tutti quei B2B, B2C, C2C, B2B2C… ci si aspetta quasi di sentire il bip delle casse automatiche, rigorosamente senza beat, con tutti ‘sti codici a barre manco fossero lgbtqia+. Ma almeno lì, si parla di comunità, mentre nel dualismo business&consumer, tra tante consonanti, manca l’unica che importa: la P di people – e noi ne facciamo un mantra: people to people.

 

Fuori dal mirino, P2P

Salviamo le people, come il soldato Ryan, perché quest’ansia di targetizzare ci pare una guerra fredda – l’inglese camuffa, ma target significa mirino. Attenzione Spielberg, non ne facciamo un cessate il fuoco e volemose bene, ma una strategia di attacco oculata. E se pure strategia ci obbliga al conflitto, noi la chiameremo eticaperché quando si parla di persone, si parla anzitutto di valori. 

È evidente nel team: gestire un gruppo, nel P2P, esclude di principio dipendenti o risorse, per abbracciare quello delle persone – che lavorano, certo, ma senza ignorare passioni, vita privata, ambizioni, prerogative strettamente personali e, proprio per questo, uniche. E diciamocelo, con buona pace degli HR, che l’unico modo per avere a cuore il life-work balance di un team significa pensarlo, prima di tutto, come un gruppo di persone, e quando si incontrano sarà per forza un match.

 

P2Win

All’interno, il P2P è un’etica indispensabile – o dovrebbe esserla, ma stendiamo una copertina di Linus. All’esterno, siano campagne di awareness o interazioni commerciali, rimane comunque un approccio vincente. L’unico, a nostro avviso. 

Riavvolgiamo il nastro: già quattro anni fa, uno studio di Gartner sul B2B segnalava che il 77% dei buyer trovasse complesso effettuare acquisti, proprio a causa di una comunicazione poco empatica e troppo focalizzata sul prodotto da non credere: anche i businessmen hanno sentimenti.

Là siamo nel B2B, ma a parlare di autenticità si accalca pure la GenZ. E nel B2GenZ (no, non l’abbiamo inventato noi) la regola aurea è umanizzare. Cosa vuol dire? Usiamo un altro dato: più del 66% degli zoomer preferisce acquistare da brand che rispecchiano i loro valori – e questo è un tema di empatia, di feeling, non di appealing. Inutile lavorare sulla campagna incredibile, il product placement sensazionale, il packaging avveniristico se poi il brand resta impersonale, anonimo, inaccessibile, freddo.

Sarà un caso che i brand, piano piano, hanno iniziato a spostare l’asse dal prodotto alla storia, dall’offerta alla narrativa, dalla reclame – tremate, tremate – al branded content?

 

Buyer, comprate. People, parlate

E dalla forma alla sostanza – a volte non si disdegna quella stupefacente – ecco che sentiamo sempre più parlare di human to human e anche se noi preferiamo la P di persona, perché umano ci ricorda solo una condizione temporanea, il concetto non cambia e nemmeno il linguaggio comune con cui queste persone, parlando, si comprendono e si scelgono a vicenda.

I brand lo hanno capito (piano piano, naturalmente), e mentre lentamente si umanizzano, i marchi scompaiono: la vecchia logica dell’azienda al centro, in vetrina con le sue ricche promo&cotillons, scricchiola e cade nel silenzio. C’è voluto tanto, e un po’ diamo la colpa agli americani, che mettendo la qualifica prima del nome ci hanno abituato alla buyer persona. No problem, ci prendiamo noi la briga di correggere: chiamiamole persone buyer. Trasgrediamo la grammatica, se tanto basta per un nuovo linguaggio. Anche perché, tra persone e persone, quel che importa sono le parole – B e C vendono, trattano, acquistano, ma le P parlano. E noi, le people, abbiamo deciso di ascoltarle.