Non solo è immemore, la storia, ma quando si ripete sa essere crudele: testimoniano i luddisti, risorti ben due secoli dopo. Lobbisti? Il contrario, sabotatori della lobby – operai e anarchici, che a fine Settecento presero a sfasciare i telai meccanici delle fabbriche, convinti che la rivoluzione industriale li avrebbe costretti alla disoccupazione. E anche se il tempo ha concesso la NASPI, oggi dal telaio son passati all’IA – predicando, curiosamente, la stessa retorica: “le macchine ci ruberanno il lavoro”.
ChatGPT, DALL-E, Midjourney, si chiamano così i telai contemporanei. E mentre il mondo naviga sull’onda del progresso, i luddisti 2.0 si gettano a poppa, e remano al contrario. Abbandonarli alla scialuppa? Forse, ma preferiamo annegarli in una duplice evidenza: storica, perché i telai non sostituirono l’uomo – scientifica, perché l’IA già oggi è un prezioso alleato. Anzi, preziosissimo: non ci ruba il lavoro, ma ci libera da quello più opprimente.
Il tempo è agli sgoccioli?
Evidenza, si diceva, e alla statistica ci rivolgiamo. Sì, perché le stime dicono che l’IA può sbarazzarci di 5 ore di lavoro a settimana, occupandosi in nostra vece di marketing hustles – anglicismo pruriginoso, per attività standardizzate come scrivere copy di annunci, analizzare interminabili banche dati, micro-management (che spesso sa più di macro) e gestire eterni flussi mail. E non sarà certo un caso se, oltreoceano, proprio il marketing è il campo dove più si impiega l’IA (37%) – strano ma vero, seguono IT (35%) e consulenza (30%).
Stima anche generosa, quella delle 5 ore, specie se consideriamo che chi lavora nel marketing, mediamente, dedica a mansioni ripetitive e preventivabili il 40% del proprio tempo, preziosissimo. E sa bene chi di creatività ci campa, quanto un’ora in più farebbe la differenza, sul lavoro e per la libertà – non si scomodi Braveheart, parliamo di tempo libero, quello capace di far fluire le idee e salvare la mente dallo spettro del burnout, specie in un paese, come il nostro, dove il 76% dei lavoratori ne ha accusato almeno un sintomo, nel 2023.
Tempi straordinari, tempi odierni
E allora perché fare luddismo, di nuovo, contro una macchina più intelligente? Per ignoranza, risposta scontata: sebbene gli scettici dell’IA, in Italia, siano il 21% della popolazione, solo un italiano su due sa spiegare cosa sia effettivamente un’intelligenza artificiale. Ma oltre all’ignoranza, facile scusa, vige anche un’epidemia di cecità, come nel romanzo di Saramago.
Non vedono, i conservatori settecenteschi, che non tutto il lavoro è lavoro – esiste una distinzione, sottile, tra lavoro standardizzato e lavoro non-ordinario. Il primo è quello della routine, per altro il più opprimente e meno creativo: già oggi, l’IA è all’altezza di liberarcene – le famose 5 ore – e a lei possiamo serenamente delegare mansioni come queste, per la gioia del copy, cui si risparmia l’agonia di scrivere alcune brochure.
Ma il lavoro che più richiede intelletto e sensibilità umana, si sa, è quello non-ordinario: progetti speciali, scritture innovative, campagne creative, strategie complesse, illustrazioni artistiche, articoli con commenti qualitativi – su questo è l’umano a fare la differenza, ieri come oggi.
Ebbene, se da una parte ci sono i luddisti, ancorati al passato, dall’altra compaiono gli oracoli, convinti che un giorno, in un futuro alla Her, le macchine sapranno incidere spot intramontabili e claim letali. Quanto a noi, preferiamo stare nel presente, coi piedi per terra: non combattiamo contro i mulini a vento, figurarsi telai e computer. E nell’attesa che arrivino le temute macchine senzienti, ci godiamo qualche ora d’aria perché ai lavoracci ci pensa l’AI.