Quota ros(s)a, la chiameremmo in Italia, come i semafori che bloccano il traffico: d’altronde, per vedere la prima, s’è dovuto attendere il 2011 – in coda al Nord Europa, con trent’anni di ritardo. Ingorghi a parte, la Legge Golfo-Mosca ha imposto una quota rosa del 20% (poi portata al 40%, olè) sugli organi collegiali di S.p.a. e società quotate in borsa. Primo passo, tardivo, verso la parità di genere, ma meglio tardi che mai – il solito vizietto italiano? Ma pure latino, che già i nostri avi, parlando di quòtus, preferivano il cavallo console di Caligola a una donna in Senato.
Una quota per domarli?
Si è iniziato a parlare di quote, alla buon’ora, per ribaltare la nostra storia fallocentrica – in tutti i sensi, una storia del ca**o – ma dal cavallo al Cavaliere, il potere rimane, in ogni caso, un sostantivo maschile. Solo 1900 anni dopo Caligola, le donne in Senato hanno (quasi) bilanciato la controparte maschile, mentre i CdA delle società italiane non mollano: oggi, accolgono un risicatissimo 36% di donne – potremmo addirittura festeggiare, che dopo Norvegia (45%) e Francia (44%) siamo terzi nella top3 continentale. Ma ci teniamo lo champagne per l’ultimo record del 2023: 7,3%, cioè la percentuale di donne CEO in Europa – rispetto alla media globale del 5%.
Fifty-fifty fa cento, anni
Tra dati e report, ne avremmo abbastanza per riscrivere da zero il De bello Gallico. Ma il divario non si argina, come la guerra che, ben lungi dalla resa, prosegue con armi moderne: percentuali, statistiche, bilanci, e saranno necessari finché i divari restano spalancati – non da ultimo, quello retributivo, che vede le donne italiane guadagnare in media il 10% in meno.
Ma quanto ci vorrà prima di raggiungere l’utopia del fifty-fifity, la parità totale? Abbiate pazienza, dicono gli esperti, che un ultimo dato annuncia tempi bibblici: 134 anni, per raggiungere la piena parità di genere.
Il capro del capo
Beh, una convalescenza di un secolo e mezzo non ci pare una buona medicina – per questo, non ne facciamo una panacea. Al limite un antidolorifico, ma occhio a non confonderlo con la pillola anticoncezionale: è facile mandarla giù, ormoni a parte, e sperare che nel 50% dei casi funzioni. Finché si continua a parlare di generi, di etnia e comunità LGBTQ+ – per scomodare le altre quote – si perde di vista il vero obiettivo: la meritocrazia. Perché la parità non è un fine, ma un mezzo per garantire un sistema meritocratico.
Se badiamo solo alla parità, di genere, scivoliamo nella logica del cap(r)o espiatorio, cui togliamo una consonante: lo lasciamo sospeso tra il proverbiale capro e i capi, sempre uomini, che riducono il problema alle quantità, la soluzione alle quote – e quando si raggiunge la bella armonia di Pitagora, 50% donne 50% uomini, il bilancio di sostenibilità si eleva al quadrato. Belli i calcoli, anche più quelli degli investitori, ma il problema non è algebrico: siano tante o poche le donne, alte o basse le percentuali, finché il genere precede il valore, il merito si perde di vista.
Le quote ai connotati, il merito alle qualità
Certo, finché ci saranno divari vecchi e perciò insinuati nella società quanto la Bibbia, bisognerà bilanciarli – ma un’azienda inclusiva, arcobaleno, è davvero meritocratica? Così come la strategia non andrebbe mai confusa con la tattica – eppure il 90% degli Strategist ancora oggi si occupa esclusivamente di tattica chiamandola strategia – bisognerebbe evitare di confondere gli strumenti con gli obiettivi, che il merito per sua natura è trasparente – ignora generi e connotati, perché di qualità soltanto si nutre: impegno, talento, costanza.
Noi, seppur piccoli e non quotati, aboliamo per principio connotati e caratteristiche somatiche, per tenerci il valore, quello delle persone. Lasciamo volentieri genere e provenienza agli enti pubblici, per stamparci le carte d’identità in autonomia: noi, siamo una realtà di persone, prima che di uomini e di donne, perché solo a quelle bada il merito. E se proprio dovessimo accettare una percentuale, faremmo direttamente 100%, di gente che dimostra e che, per questo, viene premiata, valorizzata, fatta crescere, tenuta con cura.