Il packaging non è carta (straccia)

Set 26, 2025

Unboxing, sinonimo british di “feticismo da confezione” ma anche: l’unico trend che sopravvive alle mode. Basta guardare Google Trends: l’unboxing compare nel 2008, per non lasciarci mai più. E certo, non si può mica resistere allo sfrigolio ASMR – leggi porno uditivo – della carta pizzicata, che ipnotizza le sinapsi e seduce la pupilla. Da pelle d’oca, ma non Under the skin perché l’unboxing resta tutto in superficie, all’altezza del packaging: mettici dentro le golden sneakers della Nike, una PlayStation nuova di zecca o il nuovo iPhone 780 pro, chissenefrega – alla fine, quel che conta è la pornografia dello spacchettamento. XXX, ma come i punti del cucito: sì, perché le confezioni stanno diventando una vera e propria arte sartoriale. E allora armiamoci di ago e filo – e tanta pazienza – che andiamo a ricucire la trama del packaging.

 

Uno, nessuno, 14 milioni

Claro, il vintage abbonda di packaging stellari, loghi arzigogolati e tinte vivacissime – persino i neri Amarelli si presentavano in box sgargianti e colorati. Ma poi, quando la bottega divenne e-commerce, i tempi si fecero grigi – anzi, marroni: come gli imballaggi anemici di Amazon, che ha reso onnipresente il cartone. Sayonara esperienza di acquisto, ecco l’impero del delivery online. Pratico e funzionale, col packaging ritagliato secondo la geometria del magazzino: omogenea e standardizzata, con dimensioni prestabilite. E mentre il colosso di Bezos spedisce 14 milioni di pacchi al giorno, l’unica nota di fantasia sono i colori dei container, stipati sulle navi cargo che solcano gli oceani. Bon voyage, monotonia.  

 

packagingDolce nostalgia

 

Ma per fortuna, dall’orizzonte ci viene in soccorso un vascello coloratissimo: è il design, sempre più audace, dei brand che investono sul packaging come fosse un’opera d’arte e il fascino dell’unboxing torna alla riscossa. Lo dicono i dati: il 56% delle aziende di beni di consumo confezionati (dal fashion ai prodotti casalinghi) dichiara che la spesa per il packaging è in aumento costante dal 2019. Se non bastasse, uno studio di Ipsos stima che per il 72% dei consumatori il design del packaging influisce sulle decisioni di acquisto, con il 40% più propenso a riacquistare se l’ordine arriva in una confezione premium e ben curata. Carta batte (ancora) pixel, alla faccia degli investimenti sul metaverso.

 

Palcoscenici narrativi

Così, negli ultimi anni il packaging è passato da involucro protettivo a palcoscenico narrativo. Non protezione, ma proiezione. Dentro c’è il colpo di scena, ma la trama è tutta scritta in superficie: tatuata, sulla carta, con materiali, texture, colori, aperture, layer, chi più ne ha più ne metta. Una storia, certo, perché la confezione è il primo contatto – fisico – con il consumatore, e una narrazione che si rispetti deve partire dall’inizio. Dal momento zero, quando le dita accarezzano il prodotto. 

E parlando di storie di packaging, ne abbiamo in abbondanza. Senza scomodare i mostri sacri, le box in stile minimal tech di Apple o le lattine di Coca-Cola con i nomi propri, la campagna Big impact small prices di Penny fu una trovata geniale: packaging eloquente, che per differenziare prodotti di largo consumo punta tutto su una confezione, sincera, che dichiara il pezzo senza troppi fronzoli.

 

packagingPenny, tutto d’un p(r)ezzo

 

Lì all’estero, ma anche in Italia non mancano esempi illustri. Prendete Tacchettee, eccellenza – ci duole dirlo – calcistica che avvolge le consegne nei cartoni di pizza, all’italianissima. Oppure Gastona, che sul cartone annuncia a caratteri cubitali (culinari?) l’effetto wow del prodotto – carta igienica, ma che carta.

 

packagingCartoni eloquenti by Gastona

 

Ma il culto per il pacco – qui non pornografico – va oltre il prodotto, diventando il prodotto stesso. Gioco di parole? Beh, non proprio. Così fa Sisal, ci ri-duole dirlo, che in preparazione alle aste fantacalcistiche si allea con le pizzerie fornendo cartoni speciali: su ognuno, tip e consigli per preparare al meglio l’asta. Dentro che c’è? Una normalissima pizza, ma è la confezione a dare il sapore. Si aggiunge anche Sky, che con Caramelle Now ha trasformato il packaging stesso in un trailer tascabile: ogni confetto, in scatola, un assaggio del catalogo – serie tv, film, show e sport – pronti a sciogliersi sotto la lingua. E il cinema, così, è già nella confezione. 

 

packagingFantapizza, et voilà

 

Lo spettacolo della scatola

Sì, può essere esagerata, ma la cura sartoriale del packaging non è mai feticismo. In un mondo, amazzonico, che tende a standardizzare, il taglia e cuci dei brand è invece un atto politico: di ribellione. Se il mercato tende al canone, linee guida specifiche per le spedizioni e prodotti neutralizzati dal solito packaging industriale, differenziarsi è pura opposizione. E allora, si lavora già sulla carta, perché è lì che si trova il primo touchpoint – che guarda caso, vuol dire proprio punto di contatto. Ma soprattutto, un packaging esclusivo è autenticità tangibile: qualcosa di unico e irripetibile, che caratterizza quel brand e nessun altro. 

Allora non ci sorprende che l’unboxing sia tuttora un rituale collettivo, sopravvissuto alla noia del marrone. E ben vengano motivi e fantasie su di giri, che esplodono nel packaging: d’altronde ogni storia che si rispetti parte con un gancio indimenticabile – e se la confezione è l’incipit, beh, non può certo essere anonima. Lasciamo pure il delivery alla grande distribuzione, noi ci teniamo il packaging ribelle: quello che trasforma un pezzo di carta in un palcoscenico. Signori e signore, aprite il sipario. Andiamo in scena.