Ok, partiamo da una definizione. Sì, non si fa più molto spesso, ma si dovrebbe.

storytelling

sostantivo

  1. L’arte del raccontare storie impiegata come strategia di comunicazione persuasiva, spec. in ambito politico, economico ed aziendale.

Come si fa (o si dovrebbe) in comunicazione, ora semplifichiamola il più possibile.

L’arte del raccontare storie impiegata come strategia di comunicazione persuasiva, spec. in ambito politico, economico ed aziendale.

In pratica lo storytelling, inteso come storytelling management, porta con sé due anime importanti:

  1. La narrativa
  2. La strategia

Noi, as usual, parleremmo di Narrativa Strategica, ma in questo articolo vogliamo evitare l’autoreferenzialità, che è anche – la non-autoreferenzialità – una caratteristica fondamentale dello storytelling.

Quindi: cos’è davvero lo storytelling? È una precisa scelta narrativa che deve essere propedeutica agli obiettivi. Creatività e dato, in una fusione virtuosa.

Questa però è la teoria, in pratica se mostrassimo uno spot qualsiasi a una persona qualsiasi e le chiedessimo se si tratta di storytelling risponderebbe di sì, perché nella nostra testa una pubblicità racconta sempre una storia, soprattutto quando è un prodotto audiovisivo.

Ma la storia, per essere considerata tale, deve rispettare delle caratteristiche precise. Vediamole:

  1. La prima l’abbiamo già spoilerata. Una storia, per dovere sintattico, non deve essere autoreferenziale: abbandonate il brand-centrismo, la storia non deve vendere, deve raccontare
  2. Questa narrazione dev’essere verosimile. È importante che il pubblico possa credere a quello che vede, sente, legge
  3. Ultima ma non ultima, la componente di immedesimazione. Vi siete mai chiesti perché ogni storia che si rispetti ha un protagonista? Perché nei protagonisti possiamo rispecchiarci e, senza stare a fare l’elenco degli archetipi, l’eroe non è mai infallibile, anzi ha i suoi momenti di debolezza, spesso cade, mostra le sue fragilità. È, in sintesi, drammaticamente umano.

E oggi, signori, tutti cercano umanità – anche nei brand.

Facciamo un esempio: quello che segue è uno spot tv del 2017 diretto da Pupi Avati. Abbiamo quindi un altissimo del cinema (regista, sceneggiatore e produttore) al servizio di un’azienda: Conad.

Se cercate online il video troverete, naturalmente, una buona dose di rassegna in cui la produzione viene definita “storia”.

Rileggete ora le 3 caratteristiche imprescindibili dello storytelling e provate ad applicare l’analisi a questo spot:

  1. Autoreferenzialità -> Conad è ovunque, dall’insegna agli scaffali
  2. Verosimiglianza -> Un dipendente Conad si fermerebbe oltre l’orario di chiusura a visionare tutti i video di sicurezza per trovare il proprietario di un peluche? Se sì (sì???), lo riporterebbe a casa del proprietario – lasciando perdere quanto questo sia GDPR compliance – in piena notte? E se sì, aridaje, la famiglia svegliata di soprassalto da uno sconosciuto, sarebbe felice di aprirgli la porta per ritirare il peluche della figlia, svegliando anche lei? Ecco.
  3. Immedesimazione -> Possiamo identificarci in un (finto) dipendente Conad che rasenta lo stalking?

Questo non significa che sia un brutto spot, anche perché il gusto non dovrebbe mai essere una dinamica di marketing, significa solo che non è storytelling.

Lo storytelling ha radici cinematografiche: ogni sceneggiatura è scritta tenendo a mente obiettivi precisi. I personaggi devono trasmettere qualcosa, le informazioni vengono rilasciate in momenti diversi, il flusso presenta picchi ben definiti fino al climax. In pratica è una serie di scelte strategiche. E anche i film apparentemente lontani dalla realtà di tutti i giorni, rispettano le caratteristiche di verosimilità e immedesimazione.

Alien

Ok, non ci capita spesso di far parte di una missione spaziale ma:

  • l’uomo è andato nello spazio? Salvo teorie negazioniste diremmo di sì in serenità
  • una navicella spaziale sarebbe in grado di pilotarsi mentre l’equipaggio dorme? Certo, lo fanno gli aerei di linea, figuriamoci gli strumenti della Nasa
  • potremmo non essere i soli nell’universo? Beh, solo la parte di universo visibile dalla Terra è grande 92 milioni di anni luce. Va bene essere ego-riferiti ma insomma…
  • questo alieno potrebbe non essere particolarmente amichevole? Se fossimo nati in un posto senza acqua, ossigeno, sole e cresciuti in solitudine al freddo, forse saremmo un po’ incazzati anche noi.

In definitiva, se vi piace l’argomento guardate film il più possibile e allenatevi.

L’analisi è sempre il primo step.