Mettetevi scomodi, c’è chi non ama i convenevoli: né il bon ton della user experience, con i suoi box allineati e i colori uniformi, né i consigli spassionati della SEO e dei suoi articoli scorrevoli e ordinati. Menefreghista, cinico, fastidioso (oddio quanto ci piace), è tornato il buon vecchio brutalismo.
Certo, si è modernizzato un po’ e vive nel web, ma noi vogliamo immaginarlo come in un film: un personaggio che scende le scale con passo pesante, lento, trasandato nella sua vestaglia opaca e con la barba lunga di chi cose ne ha viste, eccome.
Un mix tra nouvelle vague e Drugo del Grande Lebowski – un vecchio scorbutico che ha fatto della schiettezza il suo fascino, dei trattini il suo mantra: anti-pop, anti-estetico, anti-convenzionale.
Brut(t)o, per scelta
Purtroppo non è un film, ma se lo fosse non sarebbe certo mainstream – meglio così, preferiamo il cinema indipendente. I tempi cambiano ma non la sostanza: se all’epoca le grandi gettate di cemento dominavano le città, sotto gli occhi di tutti, oggi il brutalismo bivacca nel sottobosco di artisti visionari, progetti autonomi, musicisti stravaganti e architetti post-moderni.
Ma come gli ancestrali palazzi in cemento, il brutalismo digital è schietto e minimale: senza fronzoli, senza decorazioni, scarno. In una parola: brutto. Scegliete voi se mettercela, la doppia t. E soprattutto, quanto più scomodo possibile – se qualcuno ne ha il coraggio, si faccia un giro qua dentro.
Font scuri su sfondo scuro, chiari su chiaro. Box disseminati, a caso come è il caos, affollamento di CTA e colori al neon da crisi epilettica. Dulcis in fundo, caratteri fastidiosamente incoerenti, per infliggere la mazzata finale al designer purista. Perché il brutalismo ce l’ha con la società del buon costume e le rivolge tutta la sua brutalità, con un delitto (perfetto) che parte dall’estetica.
Brutale, per vendetta
Sabotando le sacre leggi della UX e, di conseguenza, la stabilità mentale degli aranzulliani, i brutalisti di oggi compiono un atto di estrema anarchia. E come autentici anarchici non si sono dati regole, non vi è una costituzione né manifesto – se qualcuno l’ha trovato, si faccia sentire. Ma in calce a questo database pazzesco di siti brutalisti, leggiamo una chiara dichiarazione di intenti.
Con la sua mancanza di preoccupazione di apparire comodo o accessibile, il brutalismo può essere visto come la reazione di una generazione più giovane alla leggerezza, all’ottimismo e alla frivolezza del web design di oggi.
Reazione che è pura dinamite, in versione V per Vendetta di Alan Moore e David Lloyd. Chiaro, non basterà il brutto per far brillare il Parlamento, ma una cosa è certa: del brutalismo ci fa impazzire questa vena punk, l’audacia di opporsi senza remore alle convenzioni. Il brutto contro il bello, la scomodità contro il comfort per sperimentare, osare, trovare nuove modalità, senza timore di non piacere. Con una rivoluzione non solo stilistica, ma concettuale, che squarcia il buon costume, l’accessibilità, il dogma dello user friendly. Il vecchio caro Drugo che irrompe sgraziato nel salotto, piantandosi gambe all’aria sul divano. E chissenefrega se ci sono ospiti, seduti composti e vestiti bene.
Solo il brutto ci salverà – se poi è brutale, tanto meglio.