Dark social, il lato oscuro delle acque profonde

Mag 26, 2025

Chissà perché, l’altra faccia della medaglia è sempre quella più oscura – oscena, nel caso dei piumini double face. Sindrome da Pink Floyd? Sarà, forse ci spaventa ciò che non riusciamo a ve(n)dere, ma qui non parliamo né di lune né di stoffa – bensì di fibra. Digitale, perché il Dark Side, dalla psichedelia ai social, è sempre insondabile: e pure il marketing, per definizione illuminato e ben esposto, convive in realtà con un’ombra enorme. Vedere per credere – sì, ma attrezzatevi di lanterne, che qua purtroppo non c’è luce. D’altronde, se lo chiamano dark social, un motivo ci sarà.

 

Giù (su), nel dark social 

Caliamo una sonda, Ventimila leghe sotto i mari, perché laggiù non ci arriva il targeting. Ma non servirebbe manco il capitano Nemo, visto che nel dark social siamo immersi quotidianamente. Certo, il nome inutilmente noire – manco l’avesse scritto Stefano Nazi – evoca complottismi e apocalissi, ma il dark social non è altro che il traffico web delle chat private, che vive e prolifera nella messaggistica – in parole povere, WhatsApp, Gmail, SMS e tutti i canali con cui comunichiamo abitualmente. Insomma, alla fine ci perdiamo in un bicchier d’acqua: sarà solo un bagnasciuga, ma è maledettamente profondo.

Così superficiale, così insondabile. Per i brand, per il marketing, soprattutto: certo, la santa privacy, ma le stime dicono che il dark social occupa quasi l’80% del traffico web globale l’iceberg è molto, molto profondo. Near, far, wherever you are. Ok Céline, è successo di nuovo: la crociera cala a picco, perché cari marketers fino all’80% delle decisioni di acquisto passano per il dark social. Prima del funnel, prima della CTA, prima del carrello c’è una zattera: sopra, ci galleggiano parenti, amici, chat private dove ci si consulta assiduamente – prima di acquistare un paio di scarpe da uno sconosciuto e-commerce nipponico.

 

L’ombra anomala 

E pensare che in Italia, mediamente, gli investimenti in marketing aumentano del 10% ogni anno… verrebbe da ridere. Marinai, mollate il timone: le strategie navigate, le adv a tappeto e le maxi campagne non possono vincere contro il passaparola, il consiglio, la consultazione. E laggiù, ahinoi, entriamo nell’alveo della privacy, insondabile da qualsivoglia metrica. 

Così, nel fondale buio dove sonnecchia il Kraken – temibile, come il gruppo WhatsApp della famiglia – awareness e reputation possono poco. Perché sì, un brand può investire forzieri e lingotti per aumentare la sua visibilità, ma alla fine il 98% dei consumatori cerca recensioni e chiede consigli, in privato, prima di fare shopping – tant’è che McKinsey, per citare una fonte autorevole, sostiene che il passaparola (anche digitale) sia il driver più efficace in assoluto per le decisioni di acquisto. Ciurma, occhio ai tentacoli: senza una buona customer care, un servizio raccomandabile e le recensioni positive dei clienti, spezzeranno la chiglia. 

 

L’impresa ridicola

Se volessimo ricalcolare la rotta, per non cascare nella bufera, dovremmo aggirare il mostro – e ammettere che tutto il marketing, in fin dei conti, lavora su un risicatissimo 2%: quello che resta, tra spot milionari e placement da capogiro, è solo la punta dell’iceberg – nel mare nero delle recensioni, del passaparola, delle chat private. Per carità, fa sempre bene investire in brand identity, visibilità e campagne varie, ma a poco serve se poi il brand, alla fine, (si) vende male. Insomma, pare che l’audio di mamma, dove si lamenta di TEMU, possa affondare il fatturato.

Iperboli a parte, una cosa resta: oltre alla facciata, i brand devono investire sul loro B-side. Affidabilità, qualità, servizio – e allora giriamo pure noi il vinile, d’altronde il secondo lato è il migliore di Dark Side of the Moon. Perché sì, un’agenzia può fare il suo duro lavoro: grandi opere di ingegneria navale, e costruire la più grande caravella, ma attenti al mostro! Tanto vale investire anche su ciò che sta dietro, in profondità: la customer care, da una parte, la qualità del prodotto dall’altra – perché alla fine sarà il passaparola, buio e insondabile, a convincere. Quindi, cari brand, un consiglio: per immergervi nel dark social, serve investire anche sulla qualità dell’offerta. E quando si sparge la voce, o sei il migliore della flotta… o solo un altro relitto.