Blogging, ne parliamo nel blog

Nov 18, 2025

Una blank page, austera e pallidissima. Sopra, solo un Times New Roman, allineato a sinistra, senza preziosismi: total black e poche, sporadiche immagini, accatastate senza rigore – quello che oggi chiameremmo un attentato al visual design. Ma nel 1994 era ancora troppo presto per UI e UX, e links.net, per molti il primo blog mai concepito, poteva vivere e proliferare in qualche server dell’Illinois, senza wireframe definiti né abbellimenti grafici.

Deliziosamente scheletrico, lontano anni luce dalle transizioni fade-in e le CTA vibranti, oggi è ancora sorprendentemente attivo. Feticismo puro, per gli archeologi digitali, anche se qui siamo all’epoca dell’Eden: un luogo incontaminato del primissimo internet, dove la tentazione della SEO o i vincoli del GDPR erano ancora minacce lontane. E c’è pure Adamo, qui, non figlio di dio ma creatore a sua volta: si chiama Justin Hall, vive a Chicago e da 31 anni aggiorna il suo blog – nato dalla sua costola, e non a caso, autobiografico.  

 

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Times New Romans, una stringa verticale, qualche link. Blogging puro.

 

L’arte più antica, e longeva

Certo, dal blog asettico di Justin Hall all’euforia brutalista di oggi, ce n’è voluta di strada. Ma all’epoca degli short content lapidari, video-reel-audio che saturano i data center, pare un miraggio vederne ancora – eppure i blog, alla faccia del pesciolino rosso, sopravvivono nei loro long-form, rigogliosi, con la più nobile delle arti: la scrittura. Dati alla mano – scritti, guarda un po’ – in una stima del 2025 sono stati censiti 600 milioni di blog, floridi e attivissimi, che producono ogni giorno 6-8 milioni di blog post. Vecchi a chi? 

Basta guardare la pinacoteca del blogging online, Tumblr: pietra miliare della cultura emo – sospeso tra agorà intellettuale e shitposting demenziale – quello che sembrava un social per adolescenti nerd ante litteram, oggi è un ecosistema da 135 milioni di utenti attivi.

E se non bastasse c’è Reddit, grande galassia con la sua pletora di forum-blog – subreddit, in gergo, oggi più di 138.000, ciascuno dedicato a un topic specifico. Tutto un botta e risposta di commenti, interazioni, articoli, opinioni, incalzato da un totale di 515 milioni di iscritti. Non male, per una piattaforma senza reel.

 

HAL, o SEO?

Conti alla mano, sono trent’anni di intensa attività. E certamente non si può tracciare una vera e propria storia del blogging, in questa Odissea di articoli e forum, ma un plot twist c’è eccome, e guarda caso viene sempre dalla tecnologia. HAL 9000? No, lasciamo perdere gli Hall: qui parliamo della SEO. Search Engine Optimization, nome così lungo che già sembra un avvertimento, tipo i disclaimer in Helvetica sui pacchetti di sigarette. Fumosi, dice qualcuno, ma questa fantomatica ottimizzazione serve eccome: a dare visibilità, a farti trovare nella prima pagina di Google – dove si concentra il 90% del traffico online. 

Niente di male, per carità, a voler farsi notare. Ma tra crawler e meta-tag, SERP e algoritmi, pian piano arrivano anche i limiti di battitura – un bel ricatto: se il tuo articolo supera le 1600 parole, caro blogger, non si vedrà online, e guai a non scrivere gli h2 e h3 o una keyword precisa. Ma così, il blog diventa una ginnastica algoritmica, l’autore un atleta con obiettivi chiari: vincere la SERP. E la scrittura, che dovrebbe scolpire l’identità – di un’azienda, di un’agenzia, di un autore che gestisce il suo blog – si appiattisce su criteri condivisi, per ottimizzare la visibilità.

Insomma, alla fine quell’arte nobile di esprimere un’opinione, unica e personale, diventa mero marketing, perché un contenuto SEO friendly sarà più visto, più gettonato, più apprezzato dagli inserzionisti. E la penna, obbediente, si imbriglia tra le leggi del mercato (digitale).

 

Scrivere con la SEO, scrivere per la SEO

Bene, e allora facciamo dietrofront? Torniamo all’Eden, con Justin Hall che ci sorride, paterno, dal suo scheletrico links.net? No, non ci tiriamo indietro. Sarebbe una follia, in un web che tende all’abbondanza, rinunciare alla SEO e alle buone norme del design. Se mai, bisogna trovare un modo per differenziarsi (con la SEO), restando differenti (con lo stile di scrittura). Sì, perché la visibilità non è sinonimo di riconoscibilità. Qualcuno lo dica ai marketing guru, quelli dei webinar su LinkedIn, che scrivere SEO friendly non basta – perché sarà sempre un certo taglio editoriale, una firma riconoscibile a rendere unico un blog, e attirare il lettore. Ed ecco qui tutta la differenza tra scrivere con la SEO e scrivere per la SEO, la differenza tra strategia e prigionia, riconoscibilità e mera visibilità. 

Noi, al bivio, anche in un blog scegliamo la narrativa strategica: una penna libera, autentica e mordace, che ai requisiti standard della visibilità – che predicano la solita, omogenea piattezza – preferisce essere riconoscibile, e che della SEO fa uno strumento, non certo il fine. E quando lo stile è ben definito, presto o tardi si farà notare.